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Critica - 3

Salvatore Lanzafame

Immaginario e Fantastico

Salvatore Lanzafame è pittore di capacità avvolgenti, in grado di partire da una suggestione visiva, che gli deriva dalle varie forme e cromaticità del quotidiano e tradurle in una ampia gamma di immagini, sembianze fantastiche che lasciano indovinare ciò che è avvertibile come dato sintomatico di una poetica, che si dilata e si restringe come esito di una visione ottica, attratta alternativamente, ma a volte sincronicamente, dal tripudio del colore che tende a liberarsi da ogni continuità naturalistica, oppure irresistibilmente attratto dalla mimesi, dalla volontà di appartenere ad un codice di riconoscibilità.
Da questo punto di vista l'opera di Salvatore Lanzafame appartiene alla storia novecentesca della pittura italiana, nella sua proiezione attuale, che punta ad un originale possibile nelle attuali condizioni d'intasamento dell'immaginario; in una condizione in cui tutto sembra già stato detto e ci vuole un grande sforzo, una grande concentrazione per continuare a dire, con ricchezza poetica, ciò che si deve ancora dire, con la virtù della mano, con la sua intrepida follia, di sfidare consolidati luoghi sia della tradizione che dell'avanguardia.

Lungo la traiettoria della continuità e quella parallela della discontinuità, Salvatore Lanzafame istruisce tutta una serie di trasversalità che sono le caratteristiche di una scrittura pittorica che gli è propria, frutto di sforzo e passione che mettono in evidenza la sua personalità, d'attento osservatore di tutto quanto cade sotto il suo sguardo e si presta ad entrare nella sua materia elaborativa, nel suo patrimonio "genetico", per cui il suo lavoro, conquista sempre più delle caratteristiche sue proprie, che gli appartengono oltre ogni logica di genere, oltre ogni regno di comune appartenenza.

Insomma, voglio dire che questo giovane artista ha una sua inclinazione che lo fa leggere con particolare piacevolezza e interesse, anche per la sua corrispondenza ad un genius loci di tipo mediterraneo nella sua più ampia accezione culturale fatta di suggestioni storiche che configurano una piena appartenenza ad un linguaggio che è figurativo anche quando è astratto, nell'apparente paradosso che si fa corpus di un modo d'essere e di un modo d'apparire, con tutto il suo spessore e la sua volontà di rappresentazione che viene dalla modalità espressionistica e dalla sua gestualità più o meno libera, più o meno controllata.

Nella gestualità, la pittura di Salvatore Lanzafame acquisisce una sua forza narrativa, una sua avvincente qualità di attrazione, come si conviene dall'articolarsi di quadri che hanno tutti una loro definizione, una precisa singolarità, che viene esaltata e non depressa dall'appartenenza ad una comune intelaiatura concettuale. Anche perché la pittura, come tutte le forme d'arte che vivono d'invenzione, di continua decostruzione e costruzione, è destinata ad accendere l'interesse nell'osservatore, cosa che avviene solo in un ambito di polifonia, di mutamenti di ritmo e d'intensità. Questo avviene con quello che chiamavo, controllo o libertà del gesto, a cui corrisponde una valenza classica del fare, seguendo una logica della complessità, ma in un ambito di sintatticità posta in situazione alta, di contesto come dicono i linguisti e i sociologi, oppure all'estrinsecarsi di una casualità imprevista, di cui non riconosce l'esito se non a cosa fatta.

Non è facile stare in questa situazione in bilico perché si rischia di essere risucchiati nell'accademismo oppure nel più disperante empirismo; eppure Salvatore Lanzafame trova in questo continuo equilibrio la sua forza più autentica, quella che lo fa essere pittore di qualità che non si lascia piegare dalla forza attrattiva della ripetizione, che è una lusinga di non poco, in cui molti cadono per la superficialità con cui affrontano le segrete del lavoro creativo che si presenta facile (ma è un inganno), ma, in effetti, lascia molti per terra, in preda di un piccolo mercato, di una piccola critica, di un piccolo collezionismo.
Non conosco personalmente Salvatore Lanzafame, nel momento in cui scrivo, questo è uno svantaggio, perché mi costringe ad un dialogo con la pura oggettività, che è anche l'esigenza di costruire il fantasma psicologico dell'autore, ma è un vantaggio ben più grande, in quanto libera la mia scrittura da ogni distorsione simpatica, per cui spesso la critica si fa poetica, mentre la critica deve ritenersi sempre speculare alla poetica e cercare le connessioni delle diversità, gli enigmatici ponti di contatto tra personalità dell'artista, che vive nel tempo e nello spazio, e l'oggettività dell'opera che vive nel tempo sospeso e nella virtualità dello spazio.
Tutto si tiene nell'opera intesa come singolarità e nella catena delle opere, configurabile come canto plurale a cui tutte le vere componenti, che sono materiali e immateriali, danno connotazione di una indubitabile fascinazione che attira l'osservazione, la fa camminare nei meandri delle pennellate, negli accumuli materici, dei modi e delle strane forme che si vengono a creare, in una dinamica che appartiene all'anatomia dell'arte del reale e non si lascia sconvolgere dalla difficoltà o dal buon senso, ma li comprende nella sua capacità di sintesi superiore.

Definire, immaginario e fantastico il tour pittorico di Lanzafame vuol dire articolare una pienezza di linguaggio in una sana capacità selettiva, in grado di scegliere fra il dire e il non dire, tra la visibilità, come pienezza della teoria e della prassi artistica e l'invisibilità, come potenzialità massima ed estremizzazione dell'avventura creativa. Salvatore Lanzafame sente molto l'atmosfera della sua vocazione, la sente come una seconda pelle, tanto da lasciarla avvertire in una molecolare disseminazione, che non implica mai un dissolvimento nel nulla, ma evoca una superba favola d'identità.

Francesco Gallo (2007).


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