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Critica - 5

Salvatore Lanzafame

Natura e pittura, natura e poesia. Ma anche colore, segno e materia. Le opere di Salvatore Lanzafame (Catania, 1973) strizzano l'occhio ai paesaggi romantici del tedesco Friedrich, a quelli più contemporanei di Addamiano e Guccione, e stringono la mano alla ricerca sul colore e sulla materia portata avanti, nel dopoguerra, dall'Informale.

"Chi dice romantico dice arte moderna, cioè intimità, spiritualità, colore, aspirazione verso l'infinito", scriveva Charles Baudelaire, nel 1846, nel saggio "Che cos'è il Romanticismo?". E Lanzafame è un "romantico" perché i suoi quadri sono generati da un'intima percezione della vita, dai colori del mare, del cielo, della terra, dal calore delle periferie. I suoi paesaggi sono luoghi di confine tra realtà, ricordo e sogno: è questo che determina il loro elevato lirismo.

Lanzafame dipinge ciò che vede, ma ci restituisce la propria visione sintetizzando il suo sogno ad occhi aperti e giungendo ad una lirica astrazione del soggetto attraverso il colore. L'esuberanza espressiva delle cromie delle Avanguardie viene riversata sulla tela senza parsimonia: da "Esodo" (2003) a "Houseboat" (2004), da "Riva" (2005) a "Isola notturna" (2006). Sono sfumature intense di rossi, di blu, di verdi, di marroni, rubate ai tramonti e alle albe siciliane, alle sue acque e alle sue coltivazioni. Il pittore evoca la forza della natura e trasforma la sua meraviglia in energia, in vitalità, in libertà espressiva: i toni si sovrappongono gli uni agli altri, creando strati corposi di materia, stesi con travolgente sentimento. Un impetuoso impulso creativo che sfalda le forme senza restituirne i contorni. I soggetti sono indefiniti e vivono della propria essenza.

La struttura compositiva delle sue opere è la medesima, equilibrata e armoniosa ma nello stesso tempo traboccante di appassionato delirio. Cielo e terra si toccano e si confondono in un paesaggio lontano dal reale, la cui fruizione ci scava dentro, pennellata dopo pennellata. L'orizzonte si sposta di quadro in quadro, cielo e terra si contendono lo spazio della visione, anche negli ultimi lavori, dove le stratificazioni di materia/colore si fanno meno ricche, ma non per questo meno potenti dal punto di vista formale.
La veemenza di "Polesine serale" (2005) e la poeticità di "Notturno sul Lago Dal" (2006), oltre a sottolineare una ricerca di contenuti fuori dai confini siciliani, certificano quella aspirazione verso l'infinito di cui parlava Baudelaire, l'infinito in senso stretto, ovvero la qualità di ciò che non ha limiti.

Vanessa Viscogliosi (2006).


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